dal 28 febbraio all'11 marzo 2012

Un tram chiamato desiderio

Non c'è un solo personaggio nei testi di T. Williams che non sia ferito, rotto, spezzato. A tutti manca un qualcosa, è come se nella loro incompiutezza ci fosse il senso del vivere.

Un tram chiamato desiderio
  Quando leggo le parole di Tennessee Williams, accade qualcosa di raro che a me è successo poche volte; oltre ad ascoltarle e farle diventare parte della mia mente e dei miei pensieri, le parole si vedono, si materializzano, diventano cose, persone ma soprattutto ferite.
Sono lì davanti a te come in un film proiettato su di una grande pagina, o su di uno schermo improvvisato con una tenda delle nostre madri; si muovono con un'apparente normalità, protette da abiti bianchi, da magliette troppo strette o troppo sudate, dietro ad occhiali da bravo ragazzo.
Eppure basta un nulla che quelle ferite camuffate riprendono a sanguinare, a perdere inchiostro, lasciando macchie indelebili che con fatica ridanno senso alle parole, o meglio, un solo significato riconoscibile. Non c'è un solo personaggio nei testi di T. Williams che non sia ferito, rotto, spezzato. A tutti manca un qualcosa, è come se nella loro incompiutezza ci fosse il senso del vivere.
Vacillano, in un mondo affollato da tante note di un piano sempre suonato da dite nascoste, da tanto sudore, da tanto fumo, da tante urla, da tante stanze troppo piccole e troppo piene, da tanto alcool, da tanto sud, da tanto Mississipi e soprattutto da tante cose del vivere quotidiano: eppure nonostante la miriade di oggetti che si prendono lo spazio, sembra sempre che il nulla sia il luogo dell´anima. Quel vuoto pieno d´ombre  Wim Wenders lo racconta in modo unico nel suo film "Lo stato delle cose" dipingendo una natura morta di oggetti, che io oserei chiamare una natura morta del realismo. Ed è proprio il sovrabbondante realismo che trovo in Williams, che mi fa subito pensare ad una dimensione dove il reale è natura morta, dove il realismo, per la troppa realtà, perde la sua concretezza diventando memoria di uno stato; è come un oggetto rotto che nonostante la riparazione non sarà mai più quell'oggetto, ma solo la memoria di quella cosa. Ed è in questa memoria che i nostri personaggi si muovono, quasi come se le cose fossero un labirinto necessario allo stare nel mondo e a ricordarsi ciò che si era.
Immagino un luogo dove le cose vivono di una propria luce, sono le cose che illuminano i corpi, fantasmi di una memoria, mostruose nel loro esserci state e nel loro esserci anche dopo la morte.
Le cose sopravvivono al tutto. Le cose ci sopravvivono.
 
Antonio Latella, il regista


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FONTE
Redazione laperitivo.it


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