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Rosa Salvia, sin dall'inizio di questo suo nuovo libro, dichiara di voler tornare a essere una "creatura che vede", come leggiamo in questi versi: "Anni come istanti, / istanti come anni senza cielo / partoriscono in me una nausea benedetta, / una voglia senza dighe, / una voglia di liberarmi dalle catene / che la vita mi ha prestato / per tornare a essere una creatura che vede / respirare la notte / l'ampiezza di spazi lontani / da occhi di pietra, [...]". Colpisce questa dichiarazione, poiché sembra paradossale invocare la richiesta di "vedere" se lo si prende nel senso più banale, ma per questa poetessa occorre tornare a vedere, nel senso di sentire le cose tanto da esserne parte. Bisogna che il poeta vada oltre la semplice apparenza. Va notato che, scrisse Cristina Campo, è l'estrema attenzione la prima dote del poeta per esercitare la quale occorre avere occhi attenti al mondo, al fine di cogliere la "trama del tappeto", oltre il disegno che tutti vedono in superficie; solo così si coglierà il senso delle cose che è il loro "destino". In questo dare estremo valore a una sorta di "nuova vista" scorgo, dunque, un legame profondo tra la poetica di Rosa Salvia e la visione del mondo della Campo che era legata a un sentire sacrale della vita intera e alle fiabe, intese come patrimonio dell'immaginario dove si respira una verità ancestrale.
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