dal 2 al 14 aprile 2013

LA COSCIENZA DI ZENO

La coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923, è il romanzo più maturo e originale di Italo Svevo.

LA COSCIENZA DI ZENO

In esso si riassume l'esperienza umana di Zeno Cosini, il quale racconta la propria vita in modo così ironicamente disincantato e distaccato da far apparire l'esistenza tragica e comica insieme. Zeno ha maturato alcune convinzioni: la vita è lotta; l'inettitudine non è più un destino individuale, ma un fatto universale; la vita è una "malattia"; la nostra coscienza un gioco comico e assurdo di autoinganni più o meno consapevoli. Il romanzo possiede un'architettura particolare: l'autore abbandona il modulo ottocentesco del romanzo narrato da una voce anonima ed estranea al piano della vicenda e adotta l'espediente del memoriale, del diario, in cui la narrazione si svolge in prima persona e non presenta gli avvenimenti nella loro successione cronologica lineare, ma inseriti in un tempo tutto soggettivo che mescola piani e distanze.
 
Il protagonista non è più una figura a tutto tondo, un carattere, ma è una coscienza che si costruisce attraverso il ricordo, ovvero di Zeno esiste solo ciò che egli intende ricostruire attraverso la propria coscienza. All'interno del memoriale, l'autobiografia appare un gigantesco tentativo di autogiustificazione da parte dell'inetto Zeno che vuole dimostrarsi innocente da ogni colpa nei rapporti con il padre, con la moglie, con l'amante e con il rivale Guido, anche se ad ogni pagina traspaiono i suoi impulsi reali, ostili ed aggressivi, a volte addirittura omicidi.
 
Con La coscienza di Zeno, Svevo approfondisce la sua diagnosi della crisi dell'uomo contemporaneo che è tanto più grande quanto maggiore ne è l'autoconsapevolezza. I suoi personaggi, ridotti a subire la vita con sofferenza rassegnata ed insieme lucidamente consapevole, riflettono la crisi dell'uomo del primo Novecento che, sotto apparenti certezze, avverte il vuoto, causa principale dell'inquietudine e dell'angoscia esistenziale. Per questo l'opera di Svevo è idealmente vicina a quella di Pirandello, Joyce, Proust: essa testimonia il male dell'anima moderna.
 
Il romanzo si apre con la Prefazione: lo psicanalista "dottor S." induce il paziente Zeno Cosini, vecchio commerciante triestino, a scrivere un'autobiografia come contributo al lavoro psicanalitico. Poiché il paziente si è sottratto alle cure prima del previsto, il dottore, per vendicarsi, pubblica il manoscritto. Nel preambolo Zeno racconta il suo accostarsi alla psicanalisi e l'impegno a scrivere il suo memoriale, raccolto intorno ad alcuni temi ed episodi
 
Il fumo racconta dei vari tentativi attuati dal protagonista per guarire dal vizio del fumo, che rappresenta la debolezza della sua volontà.
 
Ne La morte di mio padre è raccontato il difficile rapporto di Zeno con il padre, che culmina nello schiaffo dato dal genitore morente al figlio.
 
In Storia del mio matrimonio Zeno è alla ricerca di una moglie. Frequenta casa Malfenti e si innamora di una delle quattro figlie del padrone di casa, Ada, la più bella. Viene però respinto e, dopo essere stato rifiutato da un'altra sorella, viene accettato dalla materna e comprensiva Augusta.
 
Nel capitolo La moglie e l'amante Zeno rievoca la relazione con Carla; egli non sa decidersi fra l'amore per la moglie e quello per l'amante, finché è quest'ultima a troncare il rapporto.
 
Il capitolo Storia di un'associazione commerciale è incentrato sull'impresa economica di Zeno e del cognato Guido. Sull'orlo del fallimento, Guido inscena il suicidio per impietosire i familiari, ma muore.
 
Qui terminano i capitoli del memoriale. Zeno, abbandonato lo psicanalista, scrive un altro capitolo, intitolato Psicoanalisi, in cui spiega i motivi dell'abbandono della cura e proclama la propria guarigione. Il protagonista indica l'idea che lo ha liberato dalla malattia: "La vita attuale è inquinata alle radici"; in definitiva, l'unico mezzo per essere sani è l'autoconvincimento di esserlo.
 
Nell'adattamento di Tullio Kezich del 1964, il romanzo è stato portato sulle scene italiane da Alberto Lionello (1964), Giulio Bosetti con la regia di Egisto Marcucci (1987), Massimo Dapporto con la regia di Piero Maccarinelli (2002).



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FONTE
teatroquirino.it


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